Bambini e dipendenza tecnologica riflessa

dipendenza tecnologica riflessa

di Mariano Diotto
Direttore Dipartimento di Comunicazione dello IUSVE

Nel mondo digitale si sente sempre più parlare della dipendenza tecnologica riflessa., ma non tutti sanno di che cosa si tratti. Potremmo definirla come la trasmissione della dipendenza tecnologica dal mondo degli adulti verso i bambini e i giovani.

Il mondo degli adulti è cosciente e sensibile che in ambito educativo la trasmissione di valori e comportamenti avviene dai genitori ai figli in modo più efficace tramite l’esempio. Ma chissà perché quando si tratta dell’utilizzo della tecnologia gli adulti sembrano dimenticarsi di questo principio fondamentale. Forse perché loro, per primi, non hanno ricevuto un’educazione adeguata in merito e cercano di barcamenarsi come possono.

Un recente sondaggio online condotto dall’Associazione Di.Te. (Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, Gap e Cyberbullism) riporta che il 49% degli over 35 non sa stare senza cellulare, verifica se sono arrivati messaggi o notifiche almeno 43 volte al giorno. Addirittura un 6% arriva a sfiorare le 65 volte, mentre il 58% non riesce a stare 3 ore senza controllare il proprio smartphone. Di conseguenza i ragazzi controllano i propri device (cellulare o tablet che sia) 75 volte al giorno. Addirittura il 7% lo fa fino a 110 volte al giorno.

Il rischio è quello di crearsi una identità digitale più forte di quella reale.

Cosa dicono le ricerche

Fast Company, in una recente ricerca dal titolo: “La Silicon Valley non salverà i tuoi bambini dalla dipendenza dalla tecnologia” ha intervistato on line più di 400 genitori, i quali attribuiscono alla tecnologia la causa dello schiacciamento della creatività dei propri figli. Ma la cosa più sconcertante e incoerente allo stesso tempo è che questi dispositivi sono comprati o regalati dai genitori stessi.

La ricerca mette in luce la paura dei genitori ad essere un modello in questo campo, perché loro per primi si sentono deboli. Infatti nel sondaggio hanno affermato che la loro dipendenza da dispositivo li fa sentire ipocriti quando cercano di limitare l’uso della tecnologia dei propri figli. Ma allo stesso tempo molti hanno affermato che avere figli li ha costretti a guardare in modo più critico a come usano la tecnologia e li ha spinti a compiere uno sforzo consapevole per cambiare.

Tutti conosciamo le potenziali insidie ​​del nostro stile di vita sempre più legato alla tecnologia perché se ne parla spesso in tutti gli ambienti, da quello lavorativo a quello ricreativo e anche a livello scolastico. Ma nonostante questo la dipendenza dalla tecnologia mostra pochi segni di declino. Infatti tutti i prodotti tecnologici immessi sul mercato hanno subito successo. Magari hanno anche un facile declino, ma la novità porta sempre molti seguaci e molti acquisti.

Le ricerche internazionali sostengono che i bambini in età prescolare (dai 3 ai 5 anni) solo lasciati dai propri genitori per circa quattro ore al giorno in compagnia di uno schermo: televisione, computer, videogioco o consolle. Questi schermi sono diventati le nuove baby-sitter!

In ballo quindi c’è la crisi del mondo degli adulti con le proprie scelte educative. Infatti loro per primi non sanno gestire nella propria vita la tecnologia e di conseguenza non sanno normare quella dei propri figli.

Genitori, Figli e Tecnologia

I genitori sono quindi preoccupati per questa dipendenza tecnologica riflessa che trova la causa in loro.

C’è anche chi nega l’evidenza: infatti c’è un grande dibattito sul fatto se sia possibile essere veramente dipendenti dalla tecnologia in senso clinico (in rete sta crescendo anche una corrente di pensiero definita Digital Detox, Ndr).

Alcuni esperti come Nicholas Kardaras, psicologo clinico e autore del libro Bambini splendenti: come la dipendenza da schermo sta dirottando i nostri figli e come rompere la trance sostiene che il comportamento di alcuni bambini e adulti cade nel regno del comportamento dipendente.

Infatti gli studi di imaging cerebrale mostrano gli effetti dell’utilizzo nel tempo di dispositivi, e sottolinea come molti adolescenti, che ha trattato in terapia, sono così presi dai videogiochi che sembrano in trance. Non rispondono alle domande, sono estraniati dal mondo circostante, non si accorgono del passare del tempo. L’evidenza della dipendenza della tecnologia risulta quindi ovvia.

Kamenetz e Ana Homayoun, autrici del libro Social Media Wellness: aiutare gli adolescenti attraverso un mondo digitale sbilanciato, sostengono che sono proprio i genitori a poter comprendere i segni di un uso problematico della tecnologia. Questi segni sono simili ai tradizionali segni di dipendenza, come rinchiudersi in casa, riduzione drastica delle amicizie, arrabbiarsi o essere violenti quando viene sottratto il mezzo tecnologico.

Digital Detox: disintossicarsi dai social

La soluzione che propongono? Una disintossicazione digitale formato famiglia: una vacanza per un lungo weekend in un luogo senza smartphone, senza social network, senza console portatili, senza videogiochi. Genitori e figli in questo modo possono verificare il loro rapporto e affiatamento. Si sa dialogare senza dover parlare di tecnologia? Ci sono ancora argomenti di cui parlare? Si è ancora capaci di divertirsi in semplicità, senza troppi mezzi elettronici?

Un ulteriore problema è l’uso della tecnologia in classe. Essendo la nuova frontiera della scuola italiana i genitori si sentono deresponsabilizzati perché è la scuola stessa ad obbligare i ragazzi all’uso di dispositivi elettronici. Molti accusano i dirigenti scolastici di accelerare l’inserimento della tecnologia per sembrare al passo con i tempi, senza valutare l’impatto pedagogico ed educativo sui bambini, con magari un corpo docenti impreparato a gestire queste nuove dinamiche.

Una ricerca condotta da Skuola.net, Università Sapienza di Roma e Università Cattolica di Milano per conto della Polizia di Stato ha intervistato 6.671 studenti tra gli 11 e i 25 anni per comprendere come queste nuove generazioni si approcciano al mondo digital.

Il 45% passa in Internet almeno 5-6 ore al giorno, con la stessa intensità sia durante la settimana (quando dovrebbero essere più impegnati a scuola) che nel week-end. Quando manca la connessione alla Rete, 1 intervistato su 5 dice di sentirsi a disagio. La sensazione peggiora e raggiunge 1 persona su 3 quando lo smartphone termina il traffico dati.

La tecnologia è cambiata così velocemente negli ultimi 15 anni che emerge la necessità di ricerche sul campo per capire veramente come il tempo passato di fronte ad uno schermo stia influenzando il cervello dei giovani e ancor più dei bambini.

Intanto ognuno di noi può iniziare a monitorare il proprio comportamento nel mondo digital. Io stesso pensavo di essere meno dipendente, ma scaricando una semplice applicazione nel mio smartphone chiamata Moment ho scoperto che non sono proprio così immune. Magari scaricatela anche nel device di vostro figlio in modo che questo diventi un argomento di riflessione e non di accusa o punizione.

Credo infatti che il consiglio migliore a livello pedagogico ai nostri tempi è: il buonsenso.
Come per la maggior parte delle cose che viviamo, la soluzione potrebbe essere la moderazione e la regolamentazione di tutta questa tecnologia.

Sicuramente la scelta migliore è insegnare agli adulti, ai giovani e ai bambini la grammatica di questi dispositivi per dargli gli strumenti interpretativi di cui hanno bisogno per il proprio presente e soprattutto per il proprio futuro, insegnando loro il modo migliore per usarli.