Siderurgia: Core Business dell’industria nazionale

siderurgia

di Antonello Di Mario.

L’intenzione dell’amministrazione Usa di voler imporre dazi specifici sulle importazioni di metalli ed acciaio ha riportato l’attenzione sulla siderurgia nazionale e sulle scelte di politica industriale da attuare nel settore specifico, prima che nelle quotazioni petrolifere.

Dazi Usa e Siderurgia Italiana

È bene ricordare che l’Italia continua ad essere il secondo produttore di acciaio in Europa, dopo la Germania, avendo consuntivato una produzione di oltre 23 milioni di tonnellate nel 2016 ed un incremento 1,7% nel primo semestre del 2017, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno per quanto concerne l’alluminio, nel 2016 l’impiego totale del metallo in Italia è stato di 2,4 milioni di tonnellate, registrando un nuovo incremento rispetto all’anno precedente, pari al 7,7%.

Quello che è maggiormente rilevante è il valore della produzione riferita ai getti di alluminio a pressione, destinati soprattutto al mercato estero come parti di quei prodotti che vanno a comporre macchinari industriali, impianti di riscaldamento o parti specifiche nel settore automotive. In questo caso il Made in Italy è molto competitivo e siamo secondi in Europa solo alla Germania in termini di produzione.

Secondo quanto ha spiegato Antonio Gozzi, il Presidente di Federacciai, lo scorso anno il nostro paese ha esportato negli Usa il 10% della produzione siderurgica europea, per un valore di 700 milioni di dollari, ecco perchè degli eventuali Dazi Usa verso l’Europa avrebbe una grave ripercussione in Italia, con il rischio di aumentare la disoccupazione.

Ci sono infatti realtà come il Gruppo Valbruna, presenti in Italia con due sedi e negli USA con una che sarebbero molto colpite da una scelta del genere.

 

 

Ilva di Taranto e Mittal

Per quanto riguarda l’Ilva il cammino si fa tortuoso. Si tratta del piu’ grande gruppo siderurgico presente in Italia, attualmente in amministrazione straordinaria ed in via di acquisizione da parte del gruppo Arcelor Mittal (attraverso la controllata AmInvestCo Italy, ndr). 

La campagna elettorale, l’esito del voto politico, l’attesa di un nuovo esecutivo  rallentano il percorso per un accordo sindacale, propedeutico all’acquisizione ed inevitabilmente allungano i tempi preventivati tra le parti. Ma c’e’ di piu’. Il Tar di Lecce ha dichiarato la propria incompetenza a valutare nel merito i ricorsi presentati da Regione e Comune contro il Dpcm del 29 settembre 2017 che ha approvato il piano ambientale per la nuova Ilva. Ora il Tar del Lazio sara’ investito del caso, essendo l’Ilva un gruppo siderurgico con siti ubicati su tutto il territorio nazionale. 

Il gruppo Arcelor Mittal resta fermo sulla disponibilità di assumere 10 mila lavoratori dell’Ilva, lasciandone 4 mila circa in carico all’amministrazione starordinaria, anche se sono emerse possibilità di intese su un piano scaglionato nei prossimi anni fino al 2023.

Finora da ArcelorMittal non è venuta alcuna apertura ufficiale su questa ipotesi. Oltre a questo, c’è ancora il dossier Ilva pendente a Bruxelles e si attende il via libera dell’Antitrust Europeo che dovrebbe arrivare entro aprile. QUello che non vuole l’antitrust è che nasca una nuova realtà che unisca Mittal (il più grande produttore mondiale di acciaio) e Marcegaglia (il più grande trasformatore europeo).

Se ne capira’ di piu’ negli incontri previsti tra il “management” di Arcelor Mittal ed i sindacati metalmeccanici al dicastero dello Sviluppo economico, almeno due appuntamenti nell’ultima decade di marzo.

Di certo rimane la messa in sicurezza di altre due realta’ siderurgiche a Portovesme e a Piombino.

Il ministro Carlo Calenda ha reso noto che “ci sarà un investimento complessivo di 135 milioni di euro per il revamping e la modernizzazione degli impianti, un investimento molto significativo che darà capacità produttiva”.

All’inizio di marzo,invece, è stato firmato l’accordo preliminare per la cessione dello stabilimento siderurgico di Piombino, oggi Aferpi, da Cevital al gruppo indiano Jws Steel pronta a pagare 75 milioni di euro per l’azienda. Dopo la firma del suddetto “memorandum of understanding” e’ iniziata la fase di “due diligence” che durerà fino al 31 Marzo, giorno per cui è previsto il closing. Il gruppo della multinazionale indiana ha gia’ fatto sapere che a breve presentera’ il piano industriale riguardante il sito di Piombino.

Non c’e’ due senza tre: dopo questi precedention resta che aspettarsi un epilogo positivo anche per il gruppo Ilva che attende da anni un rilancio produttivo ed occupazionale. E’ questa la priorita’ per chiunque voglia gestire la politica industriale nel Paese e quella del lavoro. Ai dazi che ha in mente Donald Trump ci si pensera’ un attimo dopo.


Antonello Di Mario è Direttore di “Fabbrica società” e responsabile dell’Ufficio Stampa della Uilm nazionale.